venerdì 9 maggio 2025

Il privilegio di ciò che chiamiamo “normale"

Ci sono giorni in cui ci svegliamo con il caffè già pronto, l’acqua calda nella doccia, la connessione Wi-Fi stabile e la dispensa piena. 

Uscendo, incontriamo l’asfalto liscio sotto le scarpe, attraversiamo strade con semafori funzionanti, e se ci venisse un mal di denti (spero mai più) sappiamo che un dentista è a pochi chilometri da noi.

Eppure ci sentiamo svuotati, inappagati, come se mancasse qualcosa.

Nella società occidentale, molti dei piaceri della vita sono diventati talmente scontati da essere invisibili. 

La pace, l’igiene, la sicurezza, il cibo vario, l’acqua pulita, la possibilità di scegliere come vestirci, cosa leggere, a chi scrivere, in cosa credere. 

Tutto ciò, che fino a pochi decenni fà, anche da noi erano considerati desideri irrealizzabili, sembra essersi trasformato nel minimo sindacale, il fondo scala delle nostre aspettative.

Ma è davvero così ovunque?

Basta guardare oltre confine — geografico o storico — per accorgersi che quel che noi chiamiamo “banalità” è, per miliardi di persone (non milioni), un sogno lontano. 

Dormire senza paura, mangiare senza calcolare ogni singolo pasto, prendere un aereo senza dover corrompere nessuno. Avere un documento valido. Avere diritti. Avere voce.

E allora forse oggi, prima di lamentarci per una notifica che non arriva, un algoritmo che ci ignora o un piccolo contrattempo quotidiano, possiamo fermarci un attimo. Respirare. E provare gratitudine.

Non per negare i problemi reali che abbiamo, ma per riconoscere che vivere nel privilegio inconsapevole ci sta anestetizzando. 

Forse la vera ricchezza non sta nel possedere di più, ma nel riattivare la nostra capacità di stupirci per ciò che già abbiamo.

Basta poco.

Una passeggiata all’alba, il silenzio dopo una giornata intensa, per chi è più mattiniero il profumo del pane, un messaggio sincero e il lusso di poter scrivere un pensiero (o un libro!) e condividerlo con il mondo.

Gioco d'anticipo sui critici, sottolineando che questa non è retorica: è lucidità.






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