In un’epoca in cui tutto corre, si moltiplica e si complica, la semplicità sembra un concetto fuori moda.
Eppure è proprio nella semplicità che risiede una delle forme più profonde di intelligenza.
Saper togliere, scegliere, sottrarre: è questa l’arte dimenticata.
Viviamo dentro una giungla di stimoli.
Continui inviti a volere di più, a desiderare tutto, ad accumulare esperienze, oggetti, relazioni, notifiche.
Ma nella rincorsa al troppo, abbiamo perso il gusto dell’essenziale.
Semplicità non vuol dire povertà, né rinuncia, al contrario fa rima con ricchezza.
Vuol dire lucidità. Vuol dire riconoscere ciò che conta davvero. Vuol dire non riempire il vuoto con l’inutile. È un atto estetico e insieme etico.
Essere semplici in un mondo che ci vuole complessi e sovraccarichi è una forma di resistenza.
Significa sottrarsi al ricatto del superfluo, alla bulimia dell’apparire, all’ansia del confronto continuo.
Chi sa vivere con il necessario, è un vincente.
Chi sa desiderare meno, possiede di più. Non perché ha, ma perché sa dare valore.
La semplicità è la chiave per ritrovare un rapporto sano con il tempo, con le cose, con gli altri, con se stessi.
E c’è chi la semplicità non la predica soltanto, ma la vive.
Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, abita ancora nella stessa casa acquistata nel 1959 e guida un’auto usata di quasi dieci anni, perché per le sue esigenze è più che sufficiente.
Non ostenta, non rincorre il lusso per il lusso. È coerente con ciò che dice.
Non perché sia tirchio, ma perché è intelligente e disciplinato.
Ed è proprio quando il mondo ci spinge a comprare l’ennesimo oggetto che promette felicità, vale la pena ricordare proprio le sue parole:
“Quando compri cose che non ti servono, presto sarai costretto a vendere cose che ti servono.”
La semplicità, in fondo, è anche un atto di intelligenza economica. E di libertà.
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