Contrabbandati

Contrabbandati
In una città dove nulla è davvero ciò che sembra, un Commissario fuori dagli schemi e un Giornalista a caccia della verità, si trovano immersi in una vicenda (forse) più grande di loro, tra traffici, tradimenti e redenzioni. "Contrabbandati" è un romanzo crudo e autentico, che mescola il ritmo del noir con il battito umano di chi, tra errori e speranze, cerca una via d'uscita. Una storia che sorprende, colpisce e, soprattutto, rimane. (Elio Montorsi)
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venerdì 22 agosto 2025

Lavoro 2.0 : Smart working, A.I. e le nuove sfide del futuro

Il mondo del lavoro sta cambiando


Inutile fare finta di nulla o nascondersi dietro un dito.

C’è però un minimo comune denominatore che resiste da secoli e, probabilmente, durerà fino alla fine dei tempi: al mercato non piace l’improduttività.

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Lo si può constatare leggendo la storia. 

Viene subito in mente un capolavoro di John Steinbeck, Furore, che racconta la disperazione dei contadini americani, improvvisamente esclusi dalla vita lavorativa a causa di una nuova tecnologia: il trattore. Grazie alla guida di un solo autista, questa macchina era in grado di sostituire il lavoro di decine di braccianti, più velocemente e meglio.

Quel cambiamento sconvolse la vita di milioni di persone, ma col tempo fu assimilato. 

Il “maledetto trattore”, inizialmente odiato, divenne presto una risorsa indispensabile, quasi una benedizione. 

Così accade da sempre: dopo lo shock iniziale, la società entra in una nuova fase di stabilità economica che, pur con disuguaglianze, porta un miglioramento diffuso del benessere.

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Il problema è che la ricerca non si ferma mai. 

L’automatizzazione cresce senza sosta e i lavori tradizionali di oggi, con ogni probabilità, domani non esisteranno più. 

Può sembrare una frase fatta, ma è la cruda verità, che piaccia o no.

La società contempla il lavoro solo se porta un reale valore aggiunto: era così ieri, lo è oggi e lo sarà domani.

Un esempio concreto? Il cassiere ai caselli autostradali: una mansione che sta scomparendo perché i sistemi automatici la sostituiscono a costi più bassi e senza margini di errore umano. Più produttivi, dunque più convenienti.

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Dal “maledetto trattore” al Lavoro 2.0



Nel contesto del lavoro 2.0, è essenziale comprendere le implicazioni dell'ignoranza digitale. 

Così, ricollegandomi ad un mio precedentemente articolo, l'ignoranza è costosa, la mancanza di competenze, in questo caso quelle digitali, può comportare svantaggi significativi.

Quello che allora fu il trattore, oggi lo sono l’intelligenza artificiale, la robotica e la digitalizzazione. 

Sono loro i nuovi “sconvolgimenti tecnologici” che stanno ridisegnando il lavoro. 

Non si tratta di scenari futuristici, ma di una realtà già presente: chatbot che sostituiscono i call center, software che analizzano dati al posto degli analisti, macchine che producono in catene di montaggio, quasi senza l’intervento umano.

Ma se la tecnologia elimina alcune mansioni, ne crea inevitabilmente altre. 

È il passaggio al cosiddetto Lavoro 2.0, un modello in cui non contano più solo le ore trascorse in ufficio, bensì la capacità di adattarsi, di imparare continuamente e di generare valore attraverso competenze nuove.

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Le caratteristiche del Lavoro 2.0



Smart working e flessibilità: la pandemia ha accelerato un processo già in corso. 

Oggi non serve essere sempre in ufficio per lavorare bene; contano gli obiettivi raggiunti, non la presenza fisica.

Competenze digitali: saper usare strumenti online, piattaforme collaborative e software intelligenti è diventato essenziale, indipendentemente dal settore.

Apprendimento continuo: chi pensa di cavarsela con il “sapere” acquisito all’inizio della carriera, rischia di restare indietro. 

La formazione costante è ormai un obbligo, non un optional.

Nuove figure professionali: data analyst, esperti di cybersecurity, sviluppatori di AI, ma anche consulenti per la sostenibilità o coach per il benessere aziendale. 

Professioni impensabili solo vent’anni fa.

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Le sfide aperte

Il Lavoro 2.0 non è privo di rischi. 

La crescente precarietà contrattuale, la gig economy e la scomparsa di tutele tradizionali creano incertezza. 

Allo stesso tempo, il confine tra vita privata e professionale diventa sempre più sfumato: se posso lavorare ovunque e in qualunque momento, rischio di non staccare mai davvero.

Inoltre, la velocità dell’innovazione rischia di lasciare indietro chi non riesce a tenere il passo: un divario non solo economico, ma anche culturale e sociale.

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Conclusione: cavalcare l’onda



Il mercato, ieri come oggi, non perdona l’improduttività. 

Ma, come accadde con il trattore, anche le nuove tecnologie possono trasformarsi da minaccia a opportunità, se affrontate con lo spirito giusto.

Il Lavoro 2.0 non va visto come una condanna, ma come un’onda da cavalcare. 

Chi saprà adattarsi, imparare e reinventarsi, potrà trovare in questo nuovo scenario non solo un lavoro, ma anche una forma di realizzazione personale.

Chiudo questo articolo con una frase ormai datata, non mia, ma di Massimo Russo, e che riportai anche in un mio precedente lavoro, intitolato Bitcoin, Il prezzo della libertà.

"L'innovazione non chiede il permesso, travolge chi è immobile e cambia il Mondo"

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venerdì 16 maggio 2025

L’algoritmo ti conosce

Sembra un’esagerazione, ma non la è.

 L’algoritmo ti conosce. Sa cosa ti piace, cosa ti incuriosisce, cosa ti infastidisce. 

Sa quali parole ti trattengono qualche secondo in più su uno schermo, e quali invece ti fanno scorrere in fretta. 

L’algoritmo osserva, registra, apprende. E ti propone contenuti sempre più calibrati su di te. Ti coccola, ti liscia il pelo. Ti conferma.


Conosce le tue paure, i tuoi desideri, i tuoi tic. 

E tu ci caschi, convinto di scegliere liberamente. 

Ma quanta libertà c’è in un mondo dove tutto ci viene proposto prima ancora che ce ne rendiamo conto?


Siamo figli di una società che ci spinge alla personalizzazione estrema, fino a costruire bolle informative perfette, comode, rassicuranti. 

Ma anche isolate. L’algoritmo ci tiene al caldo. E intanto addormenta il dissenso, la fatica del confronto, la sorpresa dell’imprevisto.


La vera rivoluzione oggi è uscire da quel tracciato. 

Recuperare il pensiero critico. Leggere un libro non suggerito. Vedere un film che non corrisponde ai “tuoi gusti”. Uscire dalla zona algoritmica di comfort.


Ma non tutto è perduto.

La consapevolezza può nascere ovunque.  

Basta volerla vedere.

Perché l’algoritmo ti conosce. Ma alla fine  seli tu a decidere chi vuoi essere.


mercoledì 14 maggio 2025

Etica e algoritmi: chi programma la nostra coscienza?”

Siamo entrati ufficialmente nell'epoca dell'algoritmo 


Tutto è calcolato, suggerito, personalizzato. 

L’informazione che leggiamo, la musica che ascoltiamo, i video che guardiamo, persino le persone che frequentiamo. 


Il filtro non è più umano, ma matematico. 

Eppure, proprio qui nasce la domanda: chi ha scritto l’algoritmo? E secondo quali valori?

Gli algoritmi non possono essere neutrali, perché dietro a ogni codice c’è un’intenzione. 

Dietro ogni suggerimento automatico, una scelta. Spesso invisibile. 


Decidono cosa vediamo, cosa ci viene nascosto, cosa ci viene proposto prima di tutto il resto. 

Influiscono sulla nostra percezione del mondo, sulle nostre decisioni, sulle nostre emozioni.

Ciò che una volta era dominio della coscienza, oggi rischia di essere delegato al calcolo. 

La morale, la responsabilità, l’etica: tutte cose che un algoritmo non possiede, ma che può simulare. E questo è ancora più pericoloso.

Se una macchina prende decisioni che influenzano le nostre vite – chi ottiene un mutuo, chi ha accesso a un’assicurazione, chi viene assunto – ma non è trasparente, allora non siamo più cittadini, ma soggetti di un sistema opaco.

È qui che la filosofia dovrebbe entrare a gamba tesa. 

Ma spesso arriva tardi, o resta fuori dalla stanza dei bottoni. 

Non ci si chiede più se qualcosa è giusto, ma solo se funziona. La tecnica avanza, l’etica rincorre.


Come scriveva Pasolini: «I veri analfabeti del futuro, saranno quelli che non sapranno leggere la complessità del potere». 

E il potere, oggi, si cela dietro una formula, una riga di codice, una promessa di personalizzazione.

Serve una nuova alfabetizzazione etica. 

Serve chiedersi chi controlla gli algoritmi, e a vantaggio di chi. 

Serve ridefinire i confini della libertà nell’era digitale. Perché se tutto è delegato al calcolo, l’umanità rischia di diventare una variabile irrilevante.


E allora forse è il momento di riscrivere le priorità. 

Non basta chiedere se l’intelligenza artificiale sia potente (lo è ), ma se sia giusta. 

E soprattutto, se ci stia rendendo più umani… o solo più prevedibili.



martedì 13 maggio 2025

Lavoro 2.0: l’illusione del progresso

 Viviamo nel tempo delle promesse. 

Le nuove tecnologie dovrebbero liberarci dal lavoro, renderci più creativi, più agili, più umani. 

Le intelligenze artificiali, le piattaforme digitali, l’automazione avanzata: ogni innovazione viene presentata come un passo avanti verso un mondo migliore. 

Eppure, mai come oggi, il lavoro sembra svanire sotto i nostri piedi (anche se in troppi non se ne sono ancora accorti).


In ogni settore si parla di “ottimizzazione”, “efficientamento”, “riduzione dei costi”. 

Le imprese investono milioni in strumenti che, di fatto, eliminano posti di lavoro. 

Si celebrano le startup che “distruggono” vecchie professioni, ma si tace sul fatto che, quelle stesse professioni, davano da vivere a famiglie intere. E mentre ci raccontano che nasceranno nuovi lavori, resta il silenzio su chi, intanto, viene lasciato indietro.


Non è la prima volta che accade. E non sarà l'ultima.

Nei decenni passati — come raccontava Steinbeck — bastava un trattore per mettere sul lastrico decine di braccianti. 

Oggi bastano poche righe di codice per sostituire interi team. Allora si invocava il progresso. Oggi lo si idolatra, con una fede quasi religiosa. Ma una domanda resta sospesa: progresso per chi?

Nel frattempo, si moltiplicano le offerte di corsi online, master, webinar per “reinventarsi” 

Quasi a voler dire che la colpa è del lavoratore, se non riesce a stare al passo. M

a reinvenzione per fare cosa, esattamente? Consegnare cibo, generare contenuti per social, fare il rider del pensiero?


Lavoriamo di più, siamo più flessibili, ma anche più poveri, più soli, più facilmente sostituibili. 

E ci viene chiesto di sorridere, di essere “resilienti”, di non lamentarci. Di credere che tutto questo sia normale, anzi, giusto.

Siamo sicuri che sia solo una fase di transizione? O è già il modello definitivo?

E chiudo questo articolo con una frase del geniale Henry Ford:

C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti 



domenica 11 maggio 2025

L’innovazione non chiede il permesso. Arriva, e basta.

Questa frase di Massimo Russo "L'innovazione non chiede il permesso. Travolge chi è immobile e cambia il Mondo" è potente e merita uno spunto che le renda giustizia. 

Come un’onda che non puoi ignorare, travolge chi resta fermo sulle proprie convinzioni, chi difende lo status quo per paura del cambiamento. È successo con la stampa, con il motore a scoppio, con internet. E sta succedendo oggi con l’intelligenza artificiale, con Bitcoin, con la robotica.

La storia non fa sconti a chi ignora i segnali.

Non è necessario approvare l’innovazione per subirne gli effetti. Puoi ignorarla, ma non potrai evitarla.

In questo contesto, la libertà individuale non è solo un diritto: è una responsabilità. Perché innovare significa anche scegliere, ogni giorno, da che parte stare: quella di chi crea il futuro, o quella di chi ne viene o ne verrà travolto.



mercoledì 7 maggio 2025

Bitcoin, IA e libertà individuale: verso una nuova era

Quella che ci stiamo apprestando a vivere, potremmo chiamarla  era di disintermediazione.

Viviamo un momento storico, in cui tecnologie, come l'intelligenza artificiale e Bitcoin, stanno ridefinendo i rapporti di potere tra individui, istituzioni e grandi intermediari. 

Entrambe – seppur in ambiti diversi – puntano verso una maggiore autonomia personale, riducendo la necessità di fidarsi ciecamente di autorità centrali.

Nel post di stamattina ho parlato di IA, e dei suoi rischi/opportunità. 

Ora spostiamo lo sguardo, su come Bitcoin rappresenti il corrispettivo monetario di questa rivoluzione: un sistema aperto, neutrale, trasparente e soprattutto non censurabile.

Le connessioni tra questi due mondi sono sempre più forti:

IA e smart contract;

monetizzazione di contenuti, tramite micro transazioni Lightning;

tutela della privacy, grazie a strumenti decentralizzati.

La tecnologia è neutra, semplicemente ci offre degli strumenti. La scelta di decidere come usarli è tutta nostra: per essere più liberi, o per essere più controllati.


Intelligenza artificiale: rischi e opportunità


L’intelligenza artificiale (IA) è ormai parte integrante delle nostre vite: dalla sanità alla finanza, dall’istruzione alla giustizia. Ma in un mondo sempre più automatizzato, quale spazio resta per la decisione umana e per i principi democratici?

Il ruolo crescente dell’IA nel governo dei dati
Nel 2025, governi e aziende utilizzano modelli di IA per analizzare dati sensibili, prevedere comportamenti e ottimizzare i servizi pubblici. 

In molti paesi, queste tecnologie sono già utilizzate per prevenire crimini, pianificare la mobilità urbana e persino stabilire priorità negli interventi sanitari. 

Ma chi controlla l’algoritmo?

I rischi di una delega eccessiva
L’uso dell’IA in settori chiave, rischia di marginalizzare il giudizio umano e sollevare interrogativi etici e costituzionali. 

Le recenti polemiche sulle “scelte algoritmiche”, nei tribunali statunitensi e nei sistemi di welfare europei, evidenziano un pericolo concreto: la delega cieca a meccanismi opachi. 

Non sempre verificabili né contestabili.

Verso una regolamentazione trasparente
L’UE ha approvato, nel marzo 2025, il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale, un documento che impone criteri di trasparenza, tracciabilità e supervisione umana. 

L’obiettivo è conciliare innovazione e diritti fondamentali, evitando che l’IA diventi uno strumento di controllo sociale o discriminazione.

Conclusione:
L’IA non è né buona né cattiva in sé: è uno strumento, quindi è neutro.. 

Ma in un’epoca, in cui le decisioni fondamentali possono essere delegate a una macchina, serve più che mai una consapevolezza generale, e istituzioni capaci di garantire buon senso. 

Che la tecnologia resti al servizio dell’uomo, e non sia mai il contrario.