Il mondo del lavoro sta cambiando
Inutile fare finta di nulla o nascondersi dietro un dito.
C’è però un minimo comune denominatore che resiste da secoli e, probabilmente, durerà fino alla fine dei tempi: al mercato non piace l’improduttività.
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Lo si può constatare leggendo la storia.
Viene subito in mente un capolavoro di John Steinbeck, Furore, che racconta la disperazione dei contadini americani, improvvisamente esclusi dalla vita lavorativa a causa di una nuova tecnologia: il trattore. Grazie alla guida di un solo autista, questa macchina era in grado di sostituire il lavoro di decine di braccianti, più velocemente e meglio.
Quel cambiamento sconvolse la vita di milioni di persone, ma col tempo fu assimilato.
Il “maledetto trattore”, inizialmente odiato, divenne presto una risorsa indispensabile, quasi una benedizione.
Così accade da sempre: dopo lo shock iniziale, la società entra in una nuova fase di stabilità economica che, pur con disuguaglianze, porta un miglioramento diffuso del benessere.
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Il problema è che la ricerca non si ferma mai.
L’automatizzazione cresce senza sosta e i lavori tradizionali di oggi, con ogni probabilità, domani non esisteranno più.
Può sembrare una frase fatta, ma è la cruda verità, che piaccia o no.
La società contempla il lavoro solo se porta un reale valore aggiunto: era così ieri, lo è oggi e lo sarà domani.
Un esempio concreto? Il cassiere ai caselli autostradali: una mansione che sta scomparendo perché i sistemi automatici la sostituiscono a costi più bassi e senza margini di errore umano. Più produttivi, dunque più convenienti.
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Dal “maledetto trattore” al Lavoro 2.0
Nel contesto del lavoro 2.0, è essenziale comprendere le implicazioni dell'ignoranza digitale.
Così, ricollegandomi ad un mio precedentemente articolo, l'ignoranza è costosa, la mancanza di competenze, in questo caso quelle digitali, può comportare svantaggi significativi.
Quello che allora fu il trattore, oggi lo sono l’intelligenza artificiale, la robotica e la digitalizzazione.
Sono loro i nuovi “sconvolgimenti tecnologici” che stanno ridisegnando il lavoro.
Non si tratta di scenari futuristici, ma di una realtà già presente: chatbot che sostituiscono i call center, software che analizzano dati al posto degli analisti, macchine che producono in catene di montaggio, quasi senza l’intervento umano.
Ma se la tecnologia elimina alcune mansioni, ne crea inevitabilmente altre.
È il passaggio al cosiddetto Lavoro 2.0, un modello in cui non contano più solo le ore trascorse in ufficio, bensì la capacità di adattarsi, di imparare continuamente e di generare valore attraverso competenze nuove.
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Le caratteristiche del Lavoro 2.0
Smart working e flessibilità: la pandemia ha accelerato un processo già in corso.
Oggi non serve essere sempre in ufficio per lavorare bene; contano gli obiettivi raggiunti, non la presenza fisica.
Competenze digitali: saper usare strumenti online, piattaforme collaborative e software intelligenti è diventato essenziale, indipendentemente dal settore.
Apprendimento continuo: chi pensa di cavarsela con il “sapere” acquisito all’inizio della carriera, rischia di restare indietro.
La formazione costante è ormai un obbligo, non un optional.
Nuove figure professionali: data analyst, esperti di cybersecurity, sviluppatori di AI, ma anche consulenti per la sostenibilità o coach per il benessere aziendale.
Professioni impensabili solo vent’anni fa.
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Le sfide aperte
Il Lavoro 2.0 non è privo di rischi.
La crescente precarietà contrattuale, la gig economy e la scomparsa di tutele tradizionali creano incertezza.
Allo stesso tempo, il confine tra vita privata e professionale diventa sempre più sfumato: se posso lavorare ovunque e in qualunque momento, rischio di non staccare mai davvero.
Inoltre, la velocità dell’innovazione rischia di lasciare indietro chi non riesce a tenere il passo: un divario non solo economico, ma anche culturale e sociale.
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Conclusione: cavalcare l’onda
Il mercato, ieri come oggi, non perdona l’improduttività.
Ma, come accadde con il trattore, anche le nuove tecnologie possono trasformarsi da minaccia a opportunità, se affrontate con lo spirito giusto.
Il Lavoro 2.0 non va visto come una condanna, ma come un’onda da cavalcare.
Chi saprà adattarsi, imparare e reinventarsi, potrà trovare in questo nuovo scenario non solo un lavoro, ma anche una forma di realizzazione personale.
Chiudo questo articolo con una frase ormai datata, non mia, ma di Massimo Russo, e che riportai anche in un mio precedente lavoro, intitolato Bitcoin, Il prezzo della libertà.
"L'innovazione non chiede il permesso, travolge chi è immobile e cambia il Mondo"
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