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IL PREZZO DELLA LIBERTÀ

domenica 13 luglio 2025

Il mio nuovo Contrabbandati

 Nemmeno un mese fà, una mia vecchia opera, è rinata

Trattasi di Contrabbandati, tornato in vendita, da fine giugno, su Amazon.

E' per me un momento speciale poterlo presentare:

e confesso, senza alcuna vergogna, quanto il sottoscritto, molto più abituato a stare tra corsie e scaffali, o dietro la tastiera di un pc piuttosto che davanti al pubblico con un microfono in mano, sia molto più a suo agio farlo tramite il suo blog.

Ma qualsiasi fosse la modalità, sento il bisogno di doverne parlare, ed in futuro affronterò consapevolmente il disagio, in quanto sento doveroso raccontare questa storia ovunque, fuori dalle pagine.

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Contrabbandati non è solo un romanzo noir, ma anche il risultato di un percorso di ristrutturazione interiore. 

E' un progetto che nasce da lontano, e che ho ripreso in mano ultimamente, con occhi nuovi ed un'urgenza che cresceva dentro.

Il risultato finale è quello che hai qui, tra le tue mani.

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Al centro di questo libro ci sono due figure che per me sono significate molto: il Commissario ed il Giornalista.

Sono personaggi esemplari, diversi ma complementari, uniti dalla sete di verità e dalla volontà o, meglio ancora, dalla pretesa di fare la cosa giusta, anche quando tutto rema contro.

Confesso che mi sento particolarmente vicino al Giornalista, sia per il suo sguardo critico, sia per il suo lavoro, dedito alla scrittura.

Quando ho capito che Contrabbandati fosse pronto ad uscire nuovamente?

Dopo aver provato, alla fine di questo restyling, le seguenti emozioni:

-curiosità

-rabbia

-brividi lungo la schiena

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L'ho scritto nei commenti finali e lo ribadisco qui, quanto sia vero ciò che affermava Sant'Agosstino legato alla Speranza, ovvero che sia il risultato finale dato dalla somma di due forze chiamate Indignazione (per ciò che non va) ed Azione (per cambiare ciò che è sbagliato in ciò che è giusto).

E' una frase che mi sta accompagnando da tempo, nonostante sia laico, e non per niente Contrabbandati è un libro legato alla Speranza.

Non mancano nemmeno i ringraziamenti, che ho ritenuto doveroso fare, verso chi ha collaborato direttamente, ma anche verso coloro che, nell'arco della mia vita, mi hanno accompagnato.

e ora... giusto lasciarti alla storia, confidando che ti possa emozionare, arrabbiare e sorprendere, magari anche riflettere!!!!

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Perché ho scritto questo libro?

-Sicuramente ha giocato il fattore motivazionale.

Ho ritenuto che certe storie, seppur frutto della mia immaginazione, dovessero essere raccontate, perché le sentivo dentro e mi tenevano sveglio la notte. Un libro che è sicuramente nato da un'urgenza emotiva, che desse un vero volto al male e forza a chi, nonostante sia ferito, trova il coraggio di reagire.

-Per uno stimolo narrativo

La curiosità di esplorare quella zona grigia, a confine tra il Bene ed il Male, dando vita ad una storia tesa, incalzante e profonda.

-Per dialogare con il lettore su temi attuali.

La narrativa deve anche interrogare. Contrabbandati parla di traffici illeciti e di corruzione, ma anche di resistenza e di verità taciute. Il suo scopo è di accendere i riflettori proprio lì, dove spesso si preferisce guardare altrove.

- Per coinvolgere

Il mio desiderio è che il lettore si senta dentro la storia, fargli provare paura, rabbia, ma anche speranza. Che si affezioni ai personaggi, proprio come ho fatto io

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Ci sono motivi per cui dovresti leggere Contrabbandati?

Te ne elenco solo alcuni:

- la trama è adrenalinica

- i personaggi sono forti, reali e sfaccettati, con loro è facile empatizzare o andare allo scontro

- fondato su un'indagine dal ritmo serrato

- i temi sociali trattati, sono attuali

- i dialoghi sono credibili e taglienti, mai noiosi

- le ambientazioni sono vivide

- ha una narrazione visiva che stimola l'immaginazione, quasi teatrale o cinematografica

- la struttura narrativa ha continui cambi di prospettiva

- non mancano momenti di introspezione, che vanno a toccare le corde più profonde

- una forte denuncia al lato oscuro della società

- una protagonista misteriosa e coinvolgente

- da spunti per riflettere sulla giustizia

- un finale che non tradisce

- una storia che resta nella testa, anche dopo aver chiuso il libro

Scritto ciò, oserei dire che è ideale proprio a te, che mi hai accompagnato fino alla fine di questo articolo e ti sei mostrato un lettore esigente, perché avrai ciò che è nel tuo diritto pretendere:

tensione, ma anche scrittura!!!

Ti saluto e ti do appuntamento alla prossima

giovedì 29 maggio 2025

Il peso delle aspettative

Cresciamo con addosso aspettative che spesso non abbiamo scelto.

Quelle della famiglia, della scuola, della società. 

Ci dicono chi dovremmo essere, cosa dovremmo ottenere, in quanto tempo e in quale modo. 

E così, pezzo dopo pezzo, rischiamo di trasformare la nostra vita in una corsa ad ostacoli costruita da altri.


Il problema non è sognare in grande, ma farlo con sogni che non ci appartengono. 

Le aspettative non sono sempre un male: a volte ci spronano. 

Ma altre ci schiacciano, ci appesantiscono, ci allontanano da ciò che sentiamo davvero nostro. 

Finché non ci accorgiamo che rincorriamo traguardi che non ci danno alcuna gioia, solo stanchezza.


Liberarsi dal peso delle aspettative non è disinteressarsi. 

Ma riconoscere ciò che ha valore per noi. 

Significa tornare a sentire. Significa scegliere.

E forse, per la prima volta, vivere leggeri. Ma davvero.

mercoledì 28 maggio 2025

L’illusione del controllo

Viviamo cercando di controllare ogni aspetto della nostra esistenza.

 Il lavoro, il tempo, gli altri, perfino il futuro. 

Facciamo piani, impostiamo sveglie, compiliamo agende, scegliamo le nostre mosse con l’illusione che, così facendo, tutto andrà come deve.


Ma la realtà si diverte a ricordarci che il controllo totale è un’illusione. 

Possiamo fare del nostro meglio, certo, ma esistono variabili – imprevedibili, caotiche, spesso invisibili – che sfuggono a ogni nostro tentativo di gestione. 

Ed è proprio lì che risiedono l’imprevisto, la bellezza, la crescita.

Non significa vivere nel caos, ma accettare che l’ordine che cerchiamo è fragile, temporaneo, mai garantito. 

Il vero equilibrio nasce quando smettiamo di voler controllare tutto e impariamo a danzare con l’incertezza. 

Perché, paradossalmente, è proprio quando smettiamo di aggrapparci al controllo che iniziamo davvero a vivere.


Smettere di aspettare

 Aspettiamo il momento giusto per tutto.

Per cambiare lavoro, per dire quello che pensiamo, per iniziare a prenderci cura di noi stessi, o per iniziare ad investire. 

Aspettiamo di avere più tempo, più soldi, più coraggio. 

Aspettiamo che gli altri ci capiscano, ci supportino, ci riconoscano.


Ma la verità è che il momento perfetto non arriva quasi mai.

Come disse Confucio, il momento migliore per piantare un albero era vent'anni fa. Il secondo momento migliore è adesso.  

E quando finalmente sembra arrivare, scopriamo che nel frattempo siamo cambiati noi, o che è cambiato il mondo intorno a noi.


La vita non aspetta. 

Passa mentre pianifichiamo, mentre rinviamo, mentre ci raccontiamo che "non è ancora il momento". 

E così restiamo fermi, mentre il tempo cammina.

Chi agisce sbaglia, certo. Ma chi aspetta, spesso, perde.

Smettere di aspettare non significa agire d’impulso. 

Significa semplicemente smettere di rimandare se stessi.



Il tempo che buttiamo (e quello che ci potrebbe salvare)

Passiamo anni a cercare promozioni.

Rincorrendo stipendi leggermente più alti, spesso sacrificando momenti preziosi con la famiglia o con noi stessi. 

Ci adattiamo, ci si modella e ci si piega per compiacere capi e aziende che, nella maggior parte dei casi, potrebbero sostituirci in un attimo.


Eppure, non troviamo un’ora al mese per studiare come far lavorare i soldi per noi.

Viviamo in una società che premia la fatica apparente, e ignora l’intelligenza finanziaria. 

Accettiamo senza reagire che il nostro tempo venga comprato a basso costo, ma ci rifiutiamo di investire in conoscenze che potrebbero restituircelo, moltiplicato.


Il paradosso è evidente. 

Ci affanniamo per qualche euro in più in busta paga, mentre potremmo costruire libertà nel lungo termine, se solo iniziassimo a capire il valore del denaro e del tempo.

La vera ricchezza non è solo economica. È libertà. 

È scegliere cosa fare del proprio tempo. 

Ed è lì che, prima o poi, tutti torniamo a guardare.

Peccato che venga sempre capito troppo tardi

martedì 27 maggio 2025

Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?

È un’epoca in cui la connessione è costante, e il lavoro spesso ci segue anche a casa 

Torna con forza una domanda antica, ma mai risolta: stiamo lavorando per vivere, o stiamo vivendo per lavorare?

Le ore lavorative si allungano silenziosamente. 

Non sempre nei contratti, ma nelle notifiche, nei pensieri, nei doveri che si infilano nei ritagli di tempo. 


Lavoriamo di più, spesso con l’illusione di “metterci avanti”, di “tenere il ritmo”, di “fare carriera”. 

Ma la carriera, oggi, corre così in fretta da lasciarci spesso indietro, svuotati.

A livello economico, i dati mostrano stipendi, in alcuni settori, in lieve crescita, ma contemporaneamente spese che lievitano, ritmi di vita che si accelerano, e un’inquieta rincorsa al riconoscimento sociale.


Spendiamo più di quanto guadagnamo.

Spesso per impressionare persone che non sono nemmeno davvero interessate a noi. 

In questo schema, il tempo libero diventa un lusso, la serenità un miraggio, la felicità un effetto collaterale raro.


È forse tempo di ripensare il significato di ricchezza.

Forse il vero benessere non è accumulare, ma vivere. Non dimostrare, ma scegliere.

Forse la domanda giusta non è quanto guadagnamo.

Ma quanto ci resta, di tempo e di noi stessi, una volta spenta l’ultima notifica.


Il bisogno di approvazione ci sta rubando l’identità...e i soldi

Viviamo in un’epoca in cui la visibilità sembra essere tutto. 

Ogni giorno siamo esposti, commentati, giudicati. 

E allora iniziamo a chiederci non tanto chi siamo, ma come appariamo. 

E peggio ancora: piacciamo abbastanza?


Il bisogno di approvazione sta lentamente scolorendo i contorni delle nostre identità

Cerchiamo il consenso ovunque: nei social, nei gruppi di amici, persino nelle scelte personali che dovrebbero riguardare solo noi.

Per paura di deludere o restare esclusi, iniziamo ad adattarci, a modellare i nostri gusti, le nostre opinioni, perfino i nostri sogni.

Ma più ci adattiamo, più ci allontaniamo da noi stessi.


Rinunciamo alla nostra autenticità in cambio di un effimero “mi piace”.

Eppure, l’approvazione è una moneta instabile. 

Basta un commento negativo o un mancato riscontro per farci crollare. 

È una droga che non sazia mai, perché la fame di consenso è insaziabile.


Così finiamo per vivere in funzione dello sguardo altrui. 

Dimenticando che il nostro valore non dovrebbe dipendere da quanti ci applaudono, ma da quanto siamo fedeli a noi stessi.

Il paradosso è che spesso, per ottenere questa effimera approvazione, ci indebitiamo psicologicamente — e non solo.

Spendiamo soldi in abiti, accessori, auto, vacanze e status symbol che non ci servono, ma servono a impressionare chi, in fondo, non è minimamente interessato a noi.


È la trappola perfetta del consumismo. 

Compriamo ciò che non ci serve, per sembrare ciò che non siamo, a persone che non ci vedono davvero.

Essere autentici richiede coraggio.

Ci espone a critiche, incomprensioni, solitudine temporanea.

Ma è l’unico modo per costruire un’identità solida, reale. 


Un’identità che non ha bisogno di essere approvata per essere vissuta.

Essere sé stessi oggi è un atto rivoluzionario.

E rivoluzionari, a volte, bisogna decidere di esserlo.