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IL PREZZO DELLA LIBERTÀ

domenica 18 maggio 2025

L’abitazione che anestetizza

Una volta la casa era rifugio. 

Oggi, troppo spesso, è narcosi. Ci chiudiamo dentro pensando di proteggerci dal mondo, e invece ci isoliamo da noi stessi.

Non è solo una questione architettonica, ma culturale. 

Le abitazioni moderne – specialmente nei contesti urbani – sono pensate per sedare, non per stimolare. 

TV sempre accesa, assistenti vocali che completano le frasi, climatizzatori che rendono ogni stagione uguale all’altra. 

Le finestre restano chiuse, il silenzio è bandito, la solitudine coperta dal rumore di fondo. 


E intanto, fuori, il mondo cambia. Ma noi non ce ne accorgiamo.

Paolo Crepet lo dice chiaramente: “Chi non esce più di casa ha smesso di cercare”. 

E in effetti, ci stiamo spegnendo nella comodità. 

Pensiamo che il benessere sia assenza di stimoli, che la tranquillità sia assenza di conflitti. 

Invece, dice Crepet, “la vita vera è fatta di inciampi, di errori, di passioni”. 

Ma se eviti tutto questo, se resti dentro, se ti fai bastare il telecomando e il food delivery, non vivi: sopravvivi.


La casa diventa una culla ovattata dove tutto è sotto controllo. 

Un luogo dove anestetizzare le emozioni, rinviare le decisioni, disconnettersi dalla realtà. 

Ci sediamo sul divano dopo giornate fatte di iper connessione e corse a vuoto, e lo chiamiamo “relax”. 

In realtà, spesso è solo stanchezza travestita.


E mentre i dispositivi ci coccolano e le app ci leggono nel pensiero, perdiamo la capacità di scegliere. 

E di pensare. Perché chi si abitua a non uscire – non solo di casa, ma da sé – finisce per non distinguere più tra il comfort e la prigione.

“L’abitudine è una droga potentissima”, dice ancora Crepet. 

Ci si abitua a tutto, anche all’assenza di vita. 

Anche al fatto che fuori piove, che il vicino fa rumore, che il mondo ti sfida. Eppure è proprio lì che si cresce, non nel bozzolo che chiamiamo casa.

Siamo davvero sicuri che “stare bene” significhi non sentire più niente?



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