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IL PREZZO DELLA LIBERTÀ
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martedì 13 maggio 2025

La ripresa che non arriva (ma che ti fanno vedere lo stesso, da anni!)

Ogni trimestre porta con sé bollettini trionfali: crescita del PIL, ripresa dei consumi, fiducia delle imprese in rialzo. 

I comunicati e le prime pagine dei giornali sembrano orchestrare un unico spartito: “Va tutto bene, o comunque abbastanza bene da non lamentarsi troppo”. 

Ma mentre i numeri sorridono nelle slide, dai supermercati si esce con carrelli sempre più vuoti,, nei contratti precari si moltiplica l’incertezza, e nei sogni delle nuove generazioni si fa strada una parola che un tempo era un’eccezione e ora è la regola: rinuncia (oppure il sogno di essere il prossimo famoso influencer).

Le realtà, che vivono molti cittadini, sono l’opposto della narrazione ottimistica

I salari non crescono da anni, il potere d’acquisto diminuisce mese dopo mese, e il ceto medio si assottiglia fino quasi a scomparire. 

Le famiglie, che una volta risparmiavano, ora si indebitano per restare a galla, mentre il credito al consumo – anche a tassi esorbitanti – diventa l’unico ossigeno per chi vuol far fronte a spese primarie (e talvolta anche a quelle che non lo sono).

Nel frattempo, i media, fanno la loro parte

Le voci fuori dal coro vengono silenziate con ironia, o etichettate come disfattiste. 

E in tutto questo, a emergere, è un paese in cui il benessere è sempre più virtuale, e la sofferenza sempre più reale ma invisibile.


Pasolini, in un’intervista del 1975, disse: “Il vero fascismo è la riduzione dell’uomo a consumatore.”

Aveva capito, con largo anticipo, che la vera dittatura non sarebbe più passata attraverso manganelli e stivali, ma attraverso vetrine e spot. 

Ci illudono di vivere nel paese delle possibilità, mentre ci rendono incapaci (anche per nostra colpa, ammettiamolo!) di immaginare alternative.

La ripresa, forse, c’è davvero. Ma è selettiva, ingiusta, opaca. Non piove su tutti: si concentra in cima, mentre in basso si lotta per l’illusione di starci ancora dentro.

E alla fine, quando anche l’ultimo stipendio si sarà polverizzato nel mutuo e nella spesa, basterà un altro annuncio in prima serata per convincerci che sì, va tutto bene. 

E che se non lo è, dev’essere colpa nostra.



Lavoro 2.0: l’illusione del progresso

 Viviamo nel tempo delle promesse. 

Le nuove tecnologie dovrebbero liberarci dal lavoro, renderci più creativi, più agili, più umani. 

Le intelligenze artificiali, le piattaforme digitali, l’automazione avanzata: ogni innovazione viene presentata come un passo avanti verso un mondo migliore. 

Eppure, mai come oggi, il lavoro sembra svanire sotto i nostri piedi (anche se in troppi non se ne sono ancora accorti).


In ogni settore si parla di “ottimizzazione”, “efficientamento”, “riduzione dei costi”. 

Le imprese investono milioni in strumenti che, di fatto, eliminano posti di lavoro. 

Si celebrano le startup che “distruggono” vecchie professioni, ma si tace sul fatto che, quelle stesse professioni, davano da vivere a famiglie intere. E mentre ci raccontano che nasceranno nuovi lavori, resta il silenzio su chi, intanto, viene lasciato indietro.


Non è la prima volta che accade. E non sarà l'ultima.

Nei decenni passati — come raccontava Steinbeck — bastava un trattore per mettere sul lastrico decine di braccianti. 

Oggi bastano poche righe di codice per sostituire interi team. Allora si invocava il progresso. Oggi lo si idolatra, con una fede quasi religiosa. Ma una domanda resta sospesa: progresso per chi?

Nel frattempo, si moltiplicano le offerte di corsi online, master, webinar per “reinventarsi” 

Quasi a voler dire che la colpa è del lavoratore, se non riesce a stare al passo. M

a reinvenzione per fare cosa, esattamente? Consegnare cibo, generare contenuti per social, fare il rider del pensiero?


Lavoriamo di più, siamo più flessibili, ma anche più poveri, più soli, più facilmente sostituibili. 

E ci viene chiesto di sorridere, di essere “resilienti”, di non lamentarci. Di credere che tutto questo sia normale, anzi, giusto.

Siamo sicuri che sia solo una fase di transizione? O è già il modello definitivo?

E chiudo questo articolo con una frase del geniale Henry Ford:

C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti 



Sostenibili a parole, insostenibili nei fatti

Sostenibilità:  Signore e signori! Vi presento la parola più abusata degli ultimi vent’anni!!!

Ovunque la si trovi, ovunque la si invochi. 

Nei consigli d’amministrazione, nei discorsi politici, nelle pubblicità delle multinazionali. 

Sembra essere diventata il lasciapassare etico per qualunque progetto, qualunque prodotto, qualunque decisione. Basta appiccicare un’etichetta verde e il gioco è fatto.


Eppure, qualcosa non mi torna.

Perché, mentre ci parlano di auto elettriche come salvatrici del pianeta, nessuno racconta l’impatto ambientale delle miniere di litio e cobalto, sfruttate spesso in condizioni disumane. 

Mentre ci esortano a fare la raccolta differenziata con lo zelo di un soldatino ecologico, interi container di rifiuti occidentali continuano a finire in Asia e in Africa, fuori dalla vista e dalla coscienza. 

Mentre si tassano le emissioni delle piccole imprese, le grandi industrie inquinanti continuano a godere di deroghe, incentivi, “compensazioni” spesso fittizie. 

E intanto, i fondi ESG — quelli “etici” — investono tranquillamente in colossi energetici che, di verde, hanno solo la brochure.


Il risultato? Un sistema che si muove all’insegna della contraddizione. 

Un ambientalismo da vetrina, più preoccupato di apparire che di essere. 

Una narrazione che parla di futuro sostenibile, ma che intanto continua a bruciare il presente. A chi giova questa ipocrisia? Di certo non al pianeta.


La verità è che le politiche ambientali, così come spesso vengono disegnate, non mirano a un cambiamento reale 

Ma a una gestione controllata del senso di colpa collettivo. 

Il cittadino viene educato a sentirsi responsabile per ogni bottiglia di plastica, ogni lavatrice fuori orario, ogni acquisto non bio. 

Ma il vero nodo, quello sistemico, resta intoccabile. Non si toccano gli interessi consolidati. Non si ristruttura davvero l'economia. Si lavora sull’effetto, non sulla causa.


E allora viene il dubbio: non è che anche in questo caso la sostenibilità sia solo una forma aggiornata di marketing?

Certo, il cambiamento parte anche dal basso. 

Ma non solo da lì! 

E senza coerenza dall’alto, senza un disegno strutturale e onesto, le scelte individuali restano gocce nel deserto. Servono politiche che non siano pensate per fare bella figura nei congressi internazionali, ma per reggere alla prova dei fatti, dei numeri, del tempo.


La sostenibilità vera richiede sacrifici, investimenti lungimiranti, e soprattutto verità

Richiede il coraggio di mettere in discussione modelli economici e produttivi che hanno prosperato sull’insostenibilità. 

Ma finché il verde sarà solo un colore utile per vendere di più, resteremo prigionieri di un’illusione ecologica ben confezionata. E il pianeta, nel frattempo, continuerà a pagare il conto.


E alla fine?

Sarà sempre tutta colpa di quello che va in giro con la macchina a diesel, o della sciura Maria che non ha cambiato la caldaia!




lunedì 12 maggio 2025

Il caro vita e l’ostentazione: il nuovo oppio del popolo

George Orwell l’aveva previsto nella sua opera più celebre. 

La manipolazione del pensiero, il controllo delle menti, l’omologazione forzata del desiderio e della realtà. 

Ma non fu solo finzione letteraria. 

Anche Trujillo, descritto magistralmente da Mario Vargas Llosa ne La festa del caprone, esercitava un dominio totale sul popolo dominicano, non solo nelle azioni ma perfino nei pensieri. 

La sua dittatura non si limitava a leggi e repressioni: pretendeva consenso interiore, devozione assoluta, verità riscritte e interiorizzate. 

Come se il controllo non fosse completo finché qualcuno osava ancora pensare in modo autonomo.


Oggi non serve più la repressione fisica. 

Oggi si reprime col desiderio. 

Ti convincono che valga più apparire che essere, più consumare che costruire. 

E se non te lo puoi puoi permettere? Nessun problema: c’è il pagamento a rate. 

Dio è morto, sì, ma nelle auto prese a rate, nei cellulari di ultima generazione comprati con sacrifici assurdi, per non sembrare fuori moda.


Il benessere è diventato una messa in scena.

E, nella corsa all’ostentazione, anche chi è povero può sembrare ricco. Basta una carta di credito.

Ci siamo arrivati, ma con un tocco glamour: oggi il Grande Fratello ti lascia scegliere il colore dell’iPhone mentre ti convince che, se sei povero, è colpa tua.

E tu ci credi. Basta che nessuno si accorga che sei povero, almeno finché non ti staccano la luce.


L’illusione del benessere (a rate)

La carta di credito è diventata il lasciapassare per l’illusione del benessere.

Non importa se il conto langue, se ogni fine mese è un salto mortale: ciò che conta è apparire, mostrarsi vincenti, anche solo nell’immagine filtrata di uno smartphone.

Una società che non premia la coerenza o il sacrificio silenzioso, ma l’ostentazione rumorosa. 

E così il successo è diventato un travestimento da indossare, anche se a rate.


Francesco Guccini lo aveva intuito con feroce lucidità: “Dio è morto nelle auto prese a rate”. 

Una frase che oggi risuona come un verdetto. 

Perché in quelle parole c’è tutta la disperazione, di chi ha sostituito la sostanza con il debito, la dignità con lo status symbol.

Dio è morto, sì — e al suo posto c’è l’ultimo cellulare -  sfoggiato con orgoglio ma pagato col fiato corto.


Morale?

Chi risparmia con disciplina viene deriso, chi si indebita per apparire viene applaudito. 

Ma la realtà è spietata: i primi diventano liberi, i secondi restano schiavi.

E la verità, spiace dirlo, è che non c’è niente di rivoluzionario nel vivere sopra le proprie possibilità. 

C’è solo la banalità del fallimento mascherata da moda.

E sia ben chiaro, oltre ogni fraintendimento,  che il pirla moderno non è colui che non ha nulla, ma colui che, pur avendo poco o nulla…finge di avere tutto.




La cultura della popolarità: il suicidio del pensiero critico

 La società ci dice che dobbiamo brillare, che dobbiamo emergere.

 Il nostro valore sembra essere legato alla nostra visibilità, a quanto riusciamo a farci notare in un mondo che corre veloce. 

Brillare è diventato sinonimo di successo, di realizzazione, di felicità. 

Ma a ben vedere, questo concetto di "brillare" sembra più una trappola che una vera aspirazione

È una luce che ci acceca, un riflettore puntato sulla nostra esistenza che, anziché farci vedere chi siamo davvero, finisce per nascondere tutto ciò che c'è di più autentico in noi. 

La ricerca spasmodica del brillante, del visibile, non ci insegna a pensare in modo indipendente, a scoprire la nostra strada, a capire cosa vogliamo veramente dalla vita. 

Ci insegna piuttosto a conformarci, a seguirne le regole, ad accettare, senza riflettere, che il nostro valore dipenda da quanto possiamo apparire.


E ora viene il dubbio che mi turba 

Una domanda che cresce dentro di me: siamo davvero sicuri che la società si sia dimenticata di insegnarci a pensare in modo indipendente? 

E se, invece, fosse voluto? Se fosse proprio questa la strategia? Se fosse necessario che non pensassimo, per evitare che ci facessimo troppe domande? 

Un pensiero critico potrebbe spingerci a mettere in discussione le fondamenta su cui poggia il nostro mondo, le stesse fondamenta su cui si costruiscono il consumismo, l’obbligo di essere sempre in competizione, il bisogno di apparire.

La verità è che non siamo mai stati educati a pensare veramente 

Non siamo stati mai davvero invitati a comprendere il valore di un pensiero libero. 

In un mondo in cui si premia l'apparenza, in cui si promuove la superficialità, dove la bellezza esteriore viene anteposta a quella interiore, il pensiero autonomo diventa pericoloso. 

Perché? Perché un individuo che pensa in modo indipendente non può essere facilmente controllato, non può essere facilmente indirizzato, manipolato. 

Ecco perché, forse, a nessuno conviene che si impari davvero a pensare.


A volte, sembra che il vero obiettivo sia proprio questo: fare in modo che ci arrendiamo all'idea che il pensiero critico non sia necessario

Che ci basti essere condotti dalla corrente di quello che ci viene detto, dai messaggi che ci arrivano da ogni angolo, dalla pubblicità, dai social, dalla politica. 

"Non è importante cosa pensi, è importante cosa mostri". 

È più facile tenere le persone a bada quando non si pongono domande, quando non si sforzano di scoprire la verità, dietro le illusioni che ci vengono offerte come realtà. 

Il nostro mondo, che ci chiede di brillare, ci sta anche chiedendo di smettere di pensare. E questo è pericoloso. Perché quando smettiamo di pensare, smettiamo di essere liberi.

Il paradosso, ovviamente, è che tutti vogliono brillare 

Ma nessuno si chiede più se il riflesso, che vediamo nello specchio, sia davvero il nostro. 

Se quello che ci viene detto di desiderare, sia davvero ciò che vogliamo, o se siamo solo marionette, tirate da fili invisibili che ci spingono a volere sempre più, sempre meglio, sempre più visibile. 

In fondo, non è che la libertà, la vera libertà, sia proprio un pensiero indipendente che si fa strada nel buio, senza bisogno di brillare per essere visto?

Quindi, mi chiedo, siamo davvero liberi in questa corsa al brillante, o siamo soltanto prigionieri di un sistema che ci insegna a non pensare per tenerci sotto controllo?





Il paradosso dell'apparenza e la ricerca della ricchezza

Non è difficile apparire ricchi, almeno non per tutti. 

Basta una carta di credito, un po' di astuzia, e l'apparenza fa il resto. 

La gente si illude di aver raggiunto lo status sociale, di appartenere alla schiera dei "ricchi", perché sfoggia un iPhone di ultima generazione, magari un vestito firmato, o un'auto costosa. 

È un gioco che ha ormai stancato: è facile apparire ricchi, basta solo non essere troppo pigri con i pagamenti a rate.


Tuttavia, la vera ricchezza non si costruisce così. 

È facile sognare di possedere una Ferrari, ma molto più complicato è riuscire ad acquistare una casa senza essere sommersi dai debiti. 

La realtà, quella cruda, è che molti si arrendono alla tentazione di pagamenti dilazionati, senza pensare alle conseguenze sul lungo periodo. 


I consumi impulsivi, legati al desiderio di apparire più di quanto si è, non portano mai alla libertà economica. 

Anzi, sono il primo passo verso la schiavitù finanziaria.

Pensate a quanto costa ogni anno un iPhone nuovo. Il modello top di gamma di Apple, che ogni anno diventa più costoso, è il simbolo di questo paradosso. 

Se avessimo messo da parte i soldi che si spendono annualmente per acquistare l'ultimo modello, avremmo potuti  ottenere qualcosa di ben diverso, qualcosa che davvero aumenta il nostro valore. 


Un esempio? Quei soldi spesi in rate per il cellulare sarebbero potuti essere stati investiti proprio nelle azioni Apple.

Nel 2015, l'iPhone  costava circa 799 euro. 

Se l'eterno acquirente di lunga data, nel 2015 avesse investito gli stessi 799 euro in azioni Apple, oggi, tenendo conto dell'aumento del valore delle azioni (più di 7 volte il loro valore iniziale), avrebbe avuto un ritorno di circa 5.500 euro. 

Sarebbe passato da un singolo acquisto consumistico a un vero investimento, che avrebbe dato i suoi frutti nel tempo.

È uno dei miei più grandi crucci non averlo capito, una grandissima mancanza non essere sceso in profondità, essere stato pigro e non aver studiato. 

Fu, la mia, una stoltezza imperdonabile, per  non aver approfittato, nonostante la realtà di file chilometriche fosse a mia conoscenza.

Ma questa è solo la punta dell'iceberg. 

L'intuizione finanziaria è ben diversa dal desiderio di "consumare l'illusione", come molti fanno. 

È triste, vero? Non per non aver mai acquistato l'ultimo iPhone, ma per non averla  avuta  quell' intuizione, e vedere crescere quel piccolo investimento nel tempo.


Il paradosso è che, mentre tanti si indebitano per un simbolo di status, in realtà potrebbero costruire la propria vera ricchezza con pochi passi. 

Ma, evidentemente, non è facile. Non è facile partire dal basso e arrivare in alto. 

La vera sfida è scegliere di non essere prigionieri della pubblicità, del consumo e delle apparenze. 

Se è difficile diventare ricchi, lo è ancora di più sfuggire alla trappola dell'apparenza.


Ma, anche tra noi comuni mortali, c’è una differenza fondamentale. 

Mentre chi è povero e risparmiatore,  ha la possibilità di cambiare la sua situazione, chi invece, pur essendo povero, non rinuncia alle grandi firme e ai consumi ostentati, non solo è povero, non solo si preclude ogni possibilità, ma è anche pirla.



domenica 11 maggio 2025

La luna è tramontata, ma tornerà a risplendere

Viviamo tempi strani, in cui chi resiste in silenzio non fa notizia. 

Non indossa etichette, non si dichiara, non va in piazza. Ma c'è. Ed è forse la forma di ribellione più pericolosa per ogni sistema: quella che non si vede.


Lo sapeva bene John Steinbeck, quando raccontò di un popolo occupato che non si piega. Non ci sono eroi, non ci sono proclami. 

Solo uomini e donne che, dietro una parvenza di obbedienza, conservano il seme della libertà. 

La loro forza sta proprio nel non collaborare davvero. Nello scegliere, ogni giorno, di non diventare complici. Di non prestare il proprio cuore a ciò che sentono ingiusto.

È una disobbedienza pacata, fatta di scelte piccole ma coerenti. Un rifiuto mormorato, ma incrollabile. E in questo silenzio, apparentemente rassegnato, nasce la vera forza.


Ancora oggi persone vivono così. 

Senza rumore, ma con fermezza. 

Rinunciando a ciò che li svilisce, scegliendo ciò che li rende padroni del proprio tempo e delle proprie cose. 

È una rivoluzione che non chiede il permesso. Non ha leader, non ha bandiere. 

Ma, come la luna, tornerà a risplendere.



Santiago non abita più qui

Ieri mattina ho pubblicato un articolo dal titolo "Il mondo al contrario", dove descrivo una realtà sempre più surreale 

Quella in cui, chi rispetta le regole è visto come un oppressore, e chi le infrange è coccolato da leggi e opinione pubblica.

Tra i temi toccati, uno in particolare merita ulteriore spazio: l’estrema tutela dell’inquilino moroso, spesso a discapito del proprietario, visto quasi come un nemico sociale.

Non voglio ripetere ora quanto già scritto – per chi fosse interessato, può leggerlo qui – ma da quella riflessione ne è nata un’altra, più ampia, più culturale.


Perché questa società, sempre più smarrita, sembra non avere più posto per Santiago, il vecchio pescatore del romanzo di Hemingway.

Santiago è l’uomo che non molla.

Un uomo che ha conosciuto la sconfitta, la fatica, la solitudine. Eppure ogni mattina riparte. Non chiede pietà, non accampa scuse.

Ha le mani piagate dalla corda, la barca logora, la sorte avversa. Eppure affronta il mare. Non perché sia pazzo, ma perché è ciò che si fa: si lotta. Sempre.


Oggi, invece, siamo circondati da chi rivendica diritti senza assumersi doveri. 

Da chi pretende solidarietà a costo zero. Da chi pensa che basti lamentarsi per avere ragione.

Santiago, invece, si guadagna tutto. Anche la sconfitta.

E proprio per questo, anche nella disfatta, è un vincente. Perché la dignità non si misura nel risultato, ma nel modo in cui combatti.


Ma ditemi: in un Paese che Oriana Fallaci descrisse così,  in un Paese dove si difende il furbo e si attacca chi pretende semplicemente giustizia, c’è ancora posto per uno come lui?

Temo di no.

Santiago è sotto sfratto.

Santiago non abita più qui.


L’innovazione non chiede il permesso. Arriva, e basta.

Questa frase di Massimo Russo "L'innovazione non chiede il permesso. Travolge chi è immobile e cambia il Mondo" è potente e merita uno spunto che le renda giustizia. 

Come un’onda che non puoi ignorare, travolge chi resta fermo sulle proprie convinzioni, chi difende lo status quo per paura del cambiamento. È successo con la stampa, con il motore a scoppio, con internet. E sta succedendo oggi con l’intelligenza artificiale, con Bitcoin, con la robotica.

La storia non fa sconti a chi ignora i segnali.

Non è necessario approvare l’innovazione per subirne gli effetti. Puoi ignorarla, ma non potrai evitarla.

In questo contesto, la libertà individuale non è solo un diritto: è una responsabilità. Perché innovare significa anche scegliere, ogni giorno, da che parte stare: quella di chi crea il futuro, o quella di chi ne viene o ne verrà travolto.



Dal trattore a Optimus: il progresso che spaventa prima di diventare necessario

C’è un passaggio toccante ne “Furore” di John Steinbeck

Quello in cui l’arrivo del trattore segna la rovina di intere famiglie di braccianti. 

Quelle macchine, impersonali, sterili, sostituiscono la fatica e la dignità del lavoro umano. All’epoca erano il nemico. Oggi, invece, il trattore è un simbolo di efficienza agricola, irrinunciabile per sfamare miliardi di persone.


Quello che, allora, sembrava una catastrofe, oggi è considerato progresso. Ma la storia, come sempre, si ripete.


Oggi si parla di Optimus, il robot umanoide sviluppato da Elon Musk e Tesla, che promette di rivoluzionare il lavoro manuale, la logistica, l’assistenza. Ancora una volta, il timore: sostituirà l’uomo? Raderà al suolo professioni, interi settori?


La verità è che ogni grande innovazione, all’inizio, fa paura.

Similitudini:

-Entrambi segnano un cambio epocale nel mondo del lavoro.

-Entrambi sono accusati di “rubare il lavoro”.

-Entrambi mostrano la freddezza della macchina che subentra all’umano.


Differenze:

-Il trattore sostituiva la forza fisica, Optimus minaccia anche il lavoro cognitivo e relazionale.

- Il trattore era una macchina specializzata; Optimus è general purpose.

-Il trattore ha richiesto adattamento e formazione, ma non ridefiniva l’identità dell’uomo. Optimus forse sì.


La domanda finale è sempre la stessa: saremo schiavi delle macchine, o sapremo usarle come strumenti al nostro servizio?

Il tempo, come per il trattore, darà risposte.


sabato 10 maggio 2025

Un nuovo Papa. E una prima impressione

È stato eletto un nuovo Papa.

Non lo conosco, come immagino la maggior parte delle persone.

Ma – da una visione che mi piace pensare obiettiva – leggendo il suo passato, ho avuto una buona impressione.


Non parliamo di un uomo da scrivania o da cerimoniale.

Parliamo di un uomo d’azione.

Uno che ha vissuto le missioni, che ci è stato davvero, tra la gente, nel fango, nel bisogno, nel silenzio, che si è sporcato le mani.

Non come certi buonisti che – come scritto nel precedente articolo (vuoi leggerlo?) – predicano bene e razzolano male.

Quelli che, con il portafoglio degli altri, sono empatici, ma con il proprio diventano improvvisamente, come per magia, pragmatici.


E lui come sarà?

Ovviamente non posso saperlo. Nessuno può.

Possiamo solo leggere il passato.

E da lì trarre qualche spunto.


Poi sarà il tempo a parlare. E i fatti a raccontare la verità.

Nel frattempo, non resta che augurargli buon lavoro.

E sperare che venga messo in condizione di fare.



Il mondo al contrario

Il mondo sembra andare al contrario. 

Al di là di ogni logica.

E l’Italia, in questo gioco grottesco, pare essere la specialista numero uno. Maglia rosa del Giro!

La gente, ho l’impressione, sia anestetizzata: che viva una realtà talmente distorta da accettarla.

Forse inizialmente con rassegnazione, ma oggi – in troppi casi – con convinzione.

Come se questo stato di cose fosse addirittura giusto.

Uno degli esempi più lampanti?

L’estrema tutela data all’inquilino moroso.

Attenzione: non parlo di chi è finito in difficoltà temporanea e cerca un accordo, ma di chi occupa una casa senza pagare e si sente persino nel giusto.

Il peggio?

È che chi fa notare questa follia viene spesso insultato.

Chi esige il rispetto delle regole è diventato il cattivo.

Qualcuno arriva a dargli del nazista.

Nel migliore dei casi, lo si accusa di non avere empatia.

Del resto, è facile essere empatici col portafoglio degli altri!

Chi difende l’inquilino moroso pretende rispetto per la propria opinione distorta!

Per chi non lo sapesse, legittima il non rispetto di un contratto.

Ma non ha alcun rispetto per chi, legittimamente, vuole che venga pagato l’affitto concordato.

E lo chiedo: dov’è l’obiettività?

Non stiamo parlando di idee, ma di fatti, di regole, di contratti firmati.

Di legalità.

Facciamo un esempio finanziario, per chi fosse un po' duro a capire!

È come se un investitore non vedesse pagate le cedole di un’obbligazione o il dividendo di una società – eventualità tra l'altro contemplata, qualora i conti peggiorassero – ma non fosse libero di vendere, perché altrimenti sarebbe… cattivo!

Vi pare normale?

So già cosa diranno i soliti buonisti:

“In finanza è diverso! Stai mischiando le pere con le mele!”

“Da un lato ci sono azioni, dall’altro persone!”

E invece no. Non è così diverso.

Soldi liquidi, soldi immobilizzati  o soldi investiti in azioni: sono tutti strumenti per far fruttare un capitale.

E chi compra una casa per affittarla è, a tutti gli effetti, un investitore.

Ha il sacrosanto diritto di trarne un profitto.

Non ha alcun dovere di immolarsi come il missionario della solidarietà.

Il buonista di turno, se proprio ci tiene, può sempre intervenire direttamente, pagare lui l’affitto a chi non ce la fa.

Oppure ospitarlo gratuitamente in casa sua, 

In quel caso avrebbe tutta la mia stima.

Ma tanto lo so già: non sarà così.

Perché ho vissuto abbastanza da perdere la gioventù, ma anche da accumulare l’esperienza necessaria per sapere che, chi predica meglio, è spesso colui a non aprire mai il portafoglio in atto caritatevole.

Nemmeno sotto tortura.

Questa non è solo la MIA verità.

È la verità!!!

Il problema è che pochi, troppo pochi, hanno il coraggio di ammetterlo.


La libertà è un dovere. E va pagata.

La libertà non è un lusso, né qualcosa di scontato. 

È un diritto, certo, ma un diritto che spesso costa. 

Non parlo di denaro, ma di sacrifici, di scelte difficili, di momenti in cui devi decidere se seguire la corrente o fare il tuo percorso, a prescindere dal prezzo. 

E il prezzo, quasi sempre, è alto.


Recentemente, riflettevo su quanto sembri essere normale accontentarsi di una vita che ci viene propinata. 

Cone se ci venisse  donata, quasi fosse una gentile concessione. 

Le persone si lasciano trasportare dalla routine, dalle comodità, e da un sistema che ci fa credere che il “normale” sia sufficiente. 

Ma cosa succede quando la normalità non è più sufficiente? 

Quando ci rendiamo conto che ciò che chiamiamo "libertà" in realtà è solo una gabbia dorata?

Guardiamo a quanto succede attorno a noi: i politici, i leader, i potenti, continuano a vivere nel lusso, nelle comodità.

Mentre il cittadino medio si trova costretto a fare i conti con stipendi che non crescono, con un futuro che sembra sempre più incerto. 

L’Italia, un paese che fu, un tempo, prospero.

Oggi fatica a risollevare la testa. 

Gli stipendi sono tra i più bassi d'Europa, e la gente se ne rende conto. Ma chi comanda? Chi detiene il potere? Spesso sono proprio quelli che se la passano meglio. 

La stessa classe politica che continua a fare promesse, ma che vive lontana dalla realtà quotidiana.

E così la libertà, quella vera, diventa un concetto per pochi. 

Ma non è così che dovrebbe essere. La libertà non è solo un diritto da dichiarare in Costituzione, è un dovere. E spesso, come ogni dovere, va pagata. Ma quando si è liberi, quando si è veramente liberi, la soddisfazione che ne deriva è immensamente più ricca di ogni lusso ostentato.

Io credo che la vera libertà passi da scelte difficili. 

Da momenti in cui rinunci a quello che la società ti impone, per costruire qualcosa che valga la pena. Ed è qui che entra Bitcoin. Non come una moneta, ma come simbolo di libertà. Di autodeterminazione. Di indipendenza.

Nel mio libro, Bitcoin, il prezzo della libertà e Bitcoin, il prezzo della libertà. Quarta epoca e Lightning Network, ho cercato di raccontare questo: il cammino di chi ha deciso di non farsi schiacciare dal sistema. 

Di chi ha scelto di non accettare la normalità che ci viene imposta. E sì, è un cammino che richiede impegno, consapevolezza, sacrificio. Ma alla fine, la libertà ha un prezzo, e quel prezzo è la cosa più preziosa che possiamo ottenere.


E allora, se anche tu sei stanco di vivere in un mondo che non ti appartiene, inizia a fare delle scelte difficili. Non aspettare che qualcun altro lo faccia per te. La libertà è il nostro dovere. E, se ci pensi bene, è l'unico lusso che vale davvero la pena pagare.




Italia, stipendi da fame. Ma sarà solo una mia impressione

Nel 1990 eravamo un Paese fiero, avanzato, competitivo. 

Gli stipendi medi italiani superavano quelli di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Eravamo al centro dell’Europa, una locomotiva. Oggi siamo in fondo. Non al fondo. Sotto.


Gli stipendi degli italiani, rispetto al 1990, sono diminuiti. 

Quelli degli altri europei sono cresciuti. In alcuni casi raddoppiati. Noi, invece, siamo riusciti in un’impresa che ha del miracoloso: lavorare di più, guadagnare di meno, pagare più tasse e ringraziare pure. Una magia economica tutta italiana. O un incubo.


Eppure c’è una categoria che non accusa il colpo. 

Una casta — sì, chiamiamola con il suo nome — che pare vivere in un’Italia parallela: quella dei politici. Lì, i compensi non sono scesi. Anzi. In Europa siamo primi per stipendi parlamentari. Campioni.


Un paradosso? No, no: è la logica che non capiamo noi. 

Perché se li paghiamo tanto, vorrà dire che fanno bene il loro lavoro, no? Che sono meritevoli, produttivi, efficienti, risolutori. E se poi la disoccupazione cresce, il lavoro è precario, i giovani fuggono e i salari sono da terzo mondo… sarà solo una nostra impressione. Magari siamo noi che non capiamo l’economia, o che non leggiamo i dati col giusto spirito patriottico.


Tanto lo sappiamo come funziona: chi denuncia è pessimista

Chi protesta è disfattista. Chi pone domande, è populista. Però poi il frigo è vuoto, l’affitto scotta, il tempo libero sparisce, e il mutuo — se te lo danno — ti divora l’anima.


Ma per carità, non lamentiamoci troppo

Alla fine, in fondo in fondo, abbiamo ciò che meritiamo. E magari, per farci perdonare il coraggio di averlo notato, possiamo anche pagare un altro giro a chi ci governa. Un bonus. Una mancia. Tanto non sono loro a doversi vergognare.


Alla fine i colpevoli sono sempre altri!!!

Coloro che hanno deciso di non collaborare, di vivere diversamente, consumare il meno possibile essere diversamente ribelli  e vivere fuori da ogni schema, oltre il confine

La colpa è tutta loro!!!



venerdì 9 maggio 2025

Il lusso che non puoi comprare: la semplicità

 

Viviamo nell’era dell’eccesso. 

Ogni gesto è ostentazione, ogni scelta è contaminata dal bisogno di apparire. Ma nel caos dell’inutile, chi sceglie la semplicità non è un ingenuo: è un ribelle.

Semplicità non è povertà. È potere.

È svegliarsi e godere dell’odore del caffè. È camminare senza doverlo postare. È condividere un pasto, ridere senza filtri, guardare qualcuno negli occhi senza dover fingere.

Sono cose che non vendono, e per questo non te le raccontano. Ma sono le uniche che danno forza vera.

La semplicità ti libera dal ricatto sociale. 

Non hai bisogno di vestire come vogliono loro, né di pensare come vogliono loro. Non ti serve il loro consenso.
E più la vivi, più diventi forte. Perché scopri che sei tu a comandare sulla tua vita. Non la pubblicità. Non il trend. Non il vicino.

Il consumismo ci vuole ansiosi. 

Eternamente insoddisfatti, perennemente in corsa verso qualcosa che non ci serve. La semplicità, invece, ti restituisce il tempo, la lucidità, la vita.
E chi vive con gratitudine le cose semplici — quelle vere, indistruttibili — ha già vinto.

Ti deridono per questo? 

Se ti danno del fallito o del poveraccio, sappi che stai toccando un nervo scoperto. E hai tutta la mia stima.

Scopri di più su come conquistare una vita vincente. 

La semplicità è una delle chiavi fondamentali di Una vita vincente. Se sei pronto a liberarti dalle catene del consumismo e a costruire la tua libertà, questo libro è per te. 


E tu? Cosa ne pensi?

Il privilegio di ciò che chiamiamo “normale"

Ci sono giorni in cui ci svegliamo con il caffè già pronto, l’acqua calda nella doccia, la connessione Wi-Fi stabile e la dispensa piena. 

Uscendo, incontriamo l’asfalto liscio sotto le scarpe, attraversiamo strade con semafori funzionanti, e se ci venisse un mal di denti (spero mai più) sappiamo che un dentista è a pochi chilometri da noi.

Eppure ci sentiamo svuotati, inappagati, come se mancasse qualcosa.

Nella società occidentale, molti dei piaceri della vita sono diventati talmente scontati da essere invisibili. 

La pace, l’igiene, la sicurezza, il cibo vario, l’acqua pulita, la possibilità di scegliere come vestirci, cosa leggere, a chi scrivere, in cosa credere. 

Tutto ciò, che fino a pochi decenni fà, anche da noi erano considerati desideri irrealizzabili, sembra essersi trasformato nel minimo sindacale, il fondo scala delle nostre aspettative.

Ma è davvero così ovunque?

Basta guardare oltre confine — geografico o storico — per accorgersi che quel che noi chiamiamo “banalità” è, per miliardi di persone (non milioni), un sogno lontano. 

Dormire senza paura, mangiare senza calcolare ogni singolo pasto, prendere un aereo senza dover corrompere nessuno. Avere un documento valido. Avere diritti. Avere voce.

E allora forse oggi, prima di lamentarci per una notifica che non arriva, un algoritmo che ci ignora o un piccolo contrattempo quotidiano, possiamo fermarci un attimo. Respirare. E provare gratitudine.

Non per negare i problemi reali che abbiamo, ma per riconoscere che vivere nel privilegio inconsapevole ci sta anestetizzando. 

Forse la vera ricchezza non sta nel possedere di più, ma nel riattivare la nostra capacità di stupirci per ciò che già abbiamo.

Basta poco.

Una passeggiata all’alba, il silenzio dopo una giornata intensa, per chi è più mattiniero il profumo del pane, un messaggio sincero e il lusso di poter scrivere un pensiero (o un libro!) e condividerlo con il mondo.

Gioco d'anticipo sui critici, sottolineando che questa non è retorica: è lucidità.






giovedì 8 maggio 2025

Il Centro del Fiume: Una Canzone che Non Smette di Parlare

Oggi, dopo molto tempo, ho risentito una canzone che, in qualche modo, è stata fonte di ispirazione per molti dei miei scritti. 

Si tratta di Il centro del fiume di Pierangelo Bertoli. 

Una canzone che conoscevo già, ma che, come sempre, quando la risento, provoca in me forti sensazioni. 

Le parole e la melodia mi scuotono, come se fosse la prima volta che le ascolto. Nonostante il passare degli anni, il suo impatto non cambia.

Questa canzone ha sempre avuto un effetto particolare su di me

Parla di quella lotta contro la corrente, di come il fiume della vita scorra inevitabilmente, e di quanto sia difficile trovare il proprio posto nel centro, al di là delle imposizioni e dei compromessi. 

E ogni volta che la risento, quelle stesse sensazioni riaffiorano, come se mi stesse parlando direttamente, risvegliando in me pensieri e riflessioni che hanno alimentato la mia scrittura.

L’effetto di quella canzone non è mai stato banale: la sua forza, la sua intensità, quella lotta contro la corrente, contro la rassegnazione e contro l’omologazione, mi hanno sempre colpito. 

Ma il fatto che, nel risentirla, le stesse sensazioni siano riaffiorate con una potenza inaspettata, mi ha fatto riflettere. 

In qualche modo, Il centro del fiume è sempre stata una sorta di colonna sonora per i libri che ho scritto. 

La sua verità, anche nelle sue asprezze, è qualcosa che non ha smesso di risuonare in me, soprattutto quando mi sono trovato ad affrontare temi legati alla libertà e all’autodeterminazione, tematiche che attraversano tutta la mia scrittura.

Infatti, Il centro del fiume è stata un'ispirazione costante per i temi che tratto nei miei libri. 

In particolare in Bitcoin. Il prezzo della libertà. Quarta epoca e Lightning Network, dove esploro la lotta per la libertà, la scelta consapevole di nuotare contro la corrente. 

Non è mai facile, ma è in quel percorso che si trova il vero senso della vita, come Bertoli cantava: andare dove la vera libertà non è concessa, ma conquistata.





Divisivo, dicono. E meno male.

Me lo dicono spesso. 

I miei libri sono troppo diretti (che poi, perché sarebbero diretti?). Non cercano il consenso. Non sono commerciali. Creano divisione.


Insomma! Un disastro!

E allora?

Non li ho scritti per entrare nelle classifiche, né per accarezzare il lettore.

Li ho scritti per dire quello che penso. Punto.


Viviamo in un tempo in cui dire ciò che si pensa è diventato un atto quasi eversivo

La parola d’ordine è "piacere": piacere al pubblico, piacere all’algoritmo, piacere a chi si potrebbe dichiarare offeso per ogni sillaba fuori posto.


Ma io non vendo carezze. Né parole in saldo.

Chi cerca il compromesso costante, finisce per scrivere frasi vuote. Chi rincorre l’approvazione, si trasforma in un’eco.

Io no.


Se ciò che scrivo divide, allora funziona. Se non è “commerciale”, allora è onesto. Se non ti rassicura, forse ti sta dicendo la verità.

Non mi interessa compiacere. Mi interessa restare integro.

E se ti dà fastidio, vuol dire che ho colpito nel segno.

E se non mi sopporterai e non ti piacerò, pazienza, non sarai mai un mio lettore. 


Tu, intanto, continua a dedicarti alla compiacenza altrui.

Fallo anche per me, già che ci sei.

Intanto, il tempo scorre. Ma soprattutto, la vita passa.


Mentre ti chiedi se sei piaciuto, qualcuno là fuori ha detto quello che pensa.

Mentre misuri ogni parola per non disturbare, qualcuno vive. Sbaglia. Esagera. Ma c’è.

Tu invece? Ti sei nascosto talmente bene che forse non ti ritrovi più.


Non ho consigli da dare, non sono uno psicologo

Posso solo esternare una mia opinione:

"Sii te stesso. Onesto e coerente, anche se non piaci. Soprattutto se non piaci".



mercoledì 20 novembre 2024

Quel sassolino nella scarpa

Correvano le 16:05 di oggi, 20 novembre 2024 (ora italiana) , quando Bitcoin ritoccava, per l'ennesima volta il precedente massimo (datato forse un paio d'ore), ed arrivava a sfiorare i 95000, fermandosi a 94821,45 dollari.

La soglia dei 100k, quella che consacrerebbe il Bitcoin al raggiungimento della sesta cifra, è ormai vicina. 

Stanno spuntando, come funghi, economisti, e professionisti titolati, che si dichiarano possibilisti, o addirittura convinti, del raggiungimento di Bitcoin alla soglia fatidica. 

Probabilmente trattasi degli stessi che, un paio d'anni fà, profetizzavano, dall'alto del loro sapere della loro saggezza, Bitcoin prossimo all'irrilevanza, ma che ora, visto che manca un nonnulla, prevedono la crescita a 100k, e questa volta, probabilmente, ci vedranno giusto.

"Facile così!" mi verrebbe da pensare, e poi c'è quel sassolino nella scarpa, che mi infastidisce e mi verrebbe voglia di togliermelo, e lanciarlo lontano, e così faccio, non rinfacciando, ma ricordando che forse, il sottoscritto, nel suo piccolo, aveva già avvisato (sia ben chiaro, non previsto, io non prevedo nulla) che tal soglia si sarebbe potuta toccare entro la fine dell'anno.

Lo scrissi poco più di cinque mesi fà, nell'articolo intitolato La mente libera datato 8 giugno, periodo nel quale, Bitcoin, leggermente sotto ai massimi di allora, stazionava intorno ai 70000 dollari e, nonostante ciò, dichiaravo che non mi sarei stupito se il prezzo fosse riuscito a raggiungere, entro la fine dell'anno, quota centomila.

Non nascondo che c'è chi mi ha dato del "pazzo", di quello che non sapeva nemmeno far di conto, e che non riusciva a capire nemmeno le regole dell'aritmetica. 

Ritenevano non mi rendessi conto di quanto, una progressione di 30 mila dollari, su un titolo che ne valeva 70 mila, ovvero del 40% abbondante da sostenere in poco più di 6 mesi, fosse fantascienza. Per giunta su un titolo che, nei mesi precedenti, era già cresciuto tanto. 

Io avevo incassato, senza reazioni veementi, sostenendo solo che me ne rendevo conto, ma anche che i fondamentali, per raggiungere tale soglia che, tengo a precisare, non ha ancora raggiunto, c'erano tutti. 

Dirò di più, a mio avviso, questi fondamentali ci sono anche affinché, in un futuro (che non so predire nella sua tempistica), il Bitcoin possa toccare anche il milione. 

Rimettendomi pazzamente in gioco, pur ritenendola molto meno probabile della soglia legata ai 100k entro fine 2024, non mi stupirei se, la soglia del milione, la toccasse entro la fine degli anni Venti. 

Ovviamente non faccio scommesse, alla Balaji Srinivasan, solo mi limito ad esternare un'opinione, la mia! 

Scritto ciò vi saluto, rimaniamo aggiornati sui prossimi giorni (per i 100k) e sui prossimi anni (per i 1000k).

Ma, nel frattempo, vi do appuntamento al prossimo articolo

Ciaoooo!!!