Viviamo in un’epoca in cui la visibilità sembra essere tutto.
Ogni giorno siamo esposti, commentati, giudicati.
E allora iniziamo a chiederci non tanto chi siamo, ma come appariamo.
E peggio ancora: piacciamo abbastanza?
Il bisogno di approvazione sta lentamente scolorendo i contorni delle nostre identità.
Cerchiamo il consenso ovunque: nei social, nei gruppi di amici, persino nelle scelte personali che dovrebbero riguardare solo noi.
Per paura di deludere o restare esclusi, iniziamo ad adattarci, a modellare i nostri gusti, le nostre opinioni, perfino i nostri sogni.
Ma più ci adattiamo, più ci allontaniamo da noi stessi.
Rinunciamo alla nostra autenticità in cambio di un effimero “mi piace”.
Eppure, l’approvazione è una moneta instabile.
Basta un commento negativo o un mancato riscontro per farci crollare.
È una droga che non sazia mai, perché la fame di consenso è insaziabile.
Così finiamo per vivere in funzione dello sguardo altrui.
Dimenticando che il nostro valore non dovrebbe dipendere da quanti ci applaudono, ma da quanto siamo fedeli a noi stessi.
Il paradosso è che spesso, per ottenere questa effimera approvazione, ci indebitiamo psicologicamente — e non solo.
Spendiamo soldi in abiti, accessori, auto, vacanze e status symbol che non ci servono, ma servono a impressionare chi, in fondo, non è minimamente interessato a noi.
È la trappola perfetta del consumismo.
Compriamo ciò che non ci serve, per sembrare ciò che non siamo, a persone che non ci vedono davvero.
Essere autentici richiede coraggio.
Ci espone a critiche, incomprensioni, solitudine temporanea.
Ma è l’unico modo per costruire un’identità solida, reale.
Un’identità che non ha bisogno di essere approvata per essere vissuta.
Essere sé stessi oggi è un atto rivoluzionario.
E rivoluzionari, a volte, bisogna decidere di esserlo.
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