Viviamo nel tempo delle promesse.
Le nuove tecnologie dovrebbero liberarci dal lavoro, renderci più creativi, più agili, più umani.
Le intelligenze artificiali, le piattaforme digitali, l’automazione avanzata: ogni innovazione viene presentata come un passo avanti verso un mondo migliore.
Eppure, mai come oggi, il lavoro sembra svanire sotto i nostri piedi (anche se in troppi non se ne sono ancora accorti).
In ogni settore si parla di “ottimizzazione”, “efficientamento”, “riduzione dei costi”.
Le imprese investono milioni in strumenti che, di fatto, eliminano posti di lavoro.
Si celebrano le startup che “distruggono” vecchie professioni, ma si tace sul fatto che, quelle stesse professioni, davano da vivere a famiglie intere. E mentre ci raccontano che nasceranno nuovi lavori, resta il silenzio su chi, intanto, viene lasciato indietro.
Non è la prima volta che accade. E non sarà l'ultima.
Nei decenni passati — come raccontava Steinbeck — bastava un trattore per mettere sul lastrico decine di braccianti.
Oggi bastano poche righe di codice per sostituire interi team. Allora si invocava il progresso. Oggi lo si idolatra, con una fede quasi religiosa. Ma una domanda resta sospesa: progresso per chi?
Nel frattempo, si moltiplicano le offerte di corsi online, master, webinar per “reinventarsi”
Quasi a voler dire che la colpa è del lavoratore, se non riesce a stare al passo. M
a reinvenzione per fare cosa, esattamente? Consegnare cibo, generare contenuti per social, fare il rider del pensiero?
Lavoriamo di più, siamo più flessibili, ma anche più poveri, più soli, più facilmente sostituibili.
E ci viene chiesto di sorridere, di essere “resilienti”, di non lamentarci. Di credere che tutto questo sia normale, anzi, giusto.
Siamo sicuri che sia solo una fase di transizione? O è già il modello definitivo?
E chiudo questo articolo con una frase del geniale Henry Ford:
C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti
Nessun commento:
Posta un commento