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IL PREZZO DELLA LIBERTÀ

martedì 27 maggio 2025

Il rumore del silenzio è rivoluzionario

Viviamo in un’epoca in cui il rumore è costante. 

Le notifiche, le opinioni, i talk show, le polemiche social, l’ansia di dire qualcosa su tutto. 

Ogni giorno siamo travolti da parole, molte delle quali inutili, ripetitive, stonate.


In questo caos, il silenzio diventa un atto rivoluzionario.

Scegliere il silenzio, oggi, significa sottrarsi al frastuono dell’ego, dell’apparenza, della reazione impulsiva. 

Significa pensare prima di parlare, ascoltare davvero, osservare senza la fretta di commentare.

Il silenzio non è debolezza. È forza. È consapevolezza. È lucidità.


A volte, i cambiamenti più profondi non partono da un proclama, ma da un istante di raccoglimento. 

È nel silenzio che si trovano le idee più chiare, le emozioni più autentiche, le decisioni più vere.

In un mondo che urla, chi ha il coraggio di tacere e riflettere è un rivoluzionario.



lunedì 26 maggio 2025

L’ignoranza è costosa

“L’ignoranza è costosa”, disse Warren Buffett. 

E, come spesso accade con le sue frasi, non c’è bisogno di aggiungere molto altro.

Viviamo in un’epoca in cui la conoscenza è potenzialmente accessibile come mai prima. 


Manuali, corsi, video, articoli.

Abbiamo a disposizione una biblioteca infinita nel palmo della mano. 

Eppure, troppe persone restano ignoranti – nel senso letterale del termine – per scelta, per abitudine, o peggio, per pigrizia.


Non sapere non è più un destino. 

È una scelta. E quella scelta si paga cara.

Nel mondo finanziario, ad esempio, l’ignoranza porta a spendere troppo, a investire male, a indebitarsi per ciò che non serve. 


Ma non si tratta solo di soldi.

È costosa anche l’ignoranza emotiva, quella culturale, quella storica. 

L’ignoranza porta a relazioni sbagliate, voti sbagliati, decisioni sbagliate.

Buffett ci ricorda che, a differenza della cultura, l’ignoranza non è mai gratuita. 

Il conto arriva sempre. E con gli interessi.



Il paradosso del benessere apparente

Viviamo nell’epoca dell’abbondanza. 

Tutto è a portata di mano: tecnologia, intrattenimento, comodità, beni di consumo. 

Possiamo ordinare un pasto da uno smartphone, vedere il mondo da uno schermo, comunicare in tempo reale con chiunque. 

Eppure, mai come oggi ci sentiamo svuotati, inquieti, a tratti persi.


È il paradosso del benessere apparente

Possediamo molto, ma siamo colmi di inquietudine. 

Abbiamo più opzioni, ma meno direzioni. 

Più cose, meno senso. 


L'infelicità moderna non nasce dalla mancanza, ma dall'eccesso. 

Un eccesso che disorienta, confonde, paralizza. 

I social alimentano il confronto, l'insoddisfazione e la sensazione costante di essere in ritardo o inadeguati.


Viviamo per mostrare, non per sentire. 

Sorridiamo per le foto, ma piangiamo in silenzio. 

Spendiamo per apparire, non per costruire. 

Ci perdiamo nel superfluo e ci dimentichiamo dell’essenziale.


Questo benessere ci ha resi più fragili, più confusi, meno liberi. 

Abbiamo scambiato il comfort con la felicità, la comodità con la realizzazione. 

E ci stiamo accorgendo, piano piano, che non funzionerà.


Serve tornare a un’idea semplice: la qualità della vita non si misura in giga, follower o brand. Ma in silenzi veri, relazioni autentiche e scelte consapevoli. Forse la vera ricchezza è proprio quella che non si può acquistare.



La povertà che non fa rumore

Esiste una povertà silenziosa, discreta, invisibile. 

Non urla, non si esibisce, non fa notizia. 

È la povertà di chi lavora e non arriva a fine mese, di chi rinuncia a una visita medica, di chi spegne il riscaldamento prima del tempo, o salta un pasto perché “tanto non ho fame”.


È una povertà che non fa rumore, perché spesso si accompagna alla vergogna. 

Si nasconde dietro una parvenza di normalità, dietro un vestito stirato, un sorriso educato, una casa dignitosa. 

Ma dentro ha la fatica quotidiana, il calcolo preciso delle spese, il peso delle rinunce.


Eppure è la povertà più diffusa. 

Non è quella estrema che ci colpisce con le sue immagini forti, ma è altrettanto reale. 

Solo che non la vediamo. O peggio: non vogliamo vederla.


Raccontare questa povertà è un dovere morale. 

Perché se non la nominiamo, non esiste. 

E se non esiste, nessuno si sentirà in dovere di combatterla.


Il problema non è il lunedì. È come viviamo il weekend.

Ogni lunedì mattina migliaia di persone si svegliano con lo stesso pensiero.

 “Odio il lunedì”. 

Ma siamo sicuri che sia davvero lui il problema?


Forse, il vero nodo sta nei due giorni precedenti. 

Se il weekend è una fuga sregolata, una rincorsa spasmodica alla distrazione, allo sballo o al vuoto, il lunedì sarà inevitabilmente un trauma. 

Ma se quei giorni diventano tempo di qualità – riposo, relazioni vere, piccoli piaceri consapevoli – allora anche il lunedì sarà più leggero.


In fondo, il lunedì non è altro che uno specchio. 

Riflette il nostro equilibrio, o la nostra fuga. 

Se lo detestiamo, forse dovremmo chiederci: come sto vivendo il mio tempo libero?

Il lunedì non è il nemico. È solo il risultato.

domenica 25 maggio 2025

Il prezzo dell’informazione: gratis ma pilotata

Viviamo nell’epoca dell’informazione gratuita. 

Tutto è accessibile, ovunque, a qualsiasi ora. 

Ma come ci ricorda spesso lo psichiatra Paolo Crepet, “solo le banalità sono gratis”. 

E allora vale la pena chiedersi: "quanto ci costa davvero l'informazione che riceviamo ogni giorno?"


La risposta è più inquietante di quanto sembri. 

Il costo è la qualità, l’autonomia di pensiero, il senso critico. 

In un mondo inondato da notizie rapide, titoli acchiappa-click e verità preconfezionate, si rischia di accettare tutto senza filtrare nulla. 


L'informazione, anche se formalmente gratuita, è sempre filtrata, indirizzata. 

Spesso progettata per suscitare emozioni più che riflessioni.

E chi è disposto a pagare, magari con il proprio tempo o denaro, per cercare fonti autentiche, indipendenti, approfondite? 

Pochi. Ma quei pochi sono sempre più consapevoli.


L’informazione è un bene prezioso

Non dovrebbe mai essere scelta sulla base del prezzo, ma sulla base del contenuto. 

Altrimenti finiremo per credere che la verità sia solo quella che ci viene servita senza fatica. 

E in quel caso, non sarà più verità: sarà solo una narrazione comoda.



Violenza in Italia: un'emergenza che ci riguarda tutti

In Italia, la violenza non è solo una questione di cronaca.

È un fenomeno strutturale che coinvolge donne, giovani e intere comunità. 

I dati più recenti dipingono un quadro allarmante, che non possiamo più ignorare.


Violenza sulle donne: numeri che fanno male

Nel 2024, 113 donne sono state uccise, di cui 99 in ambito familiare o affettivo.  

Di queste, 61 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner.  

Il numero di pubblica utilità 1522, ha registrato, nel quarto trimestre del 2024, che il 72,9% delle vittime non denuncia la violenza subita alle autorità competenti.  

Le principali ragioni, di questa mancata denuncia, sono la paura e il timore delle reazioni dell'autore, che riguardano il 38,5% dei casi.  


Giovani e violenza: una generazione in crisi

Il 40,6% dei ragazzi, tra i 15 e i 19 anni, ha partecipato almeno una volta a zuffe o risse.  

Inoltre, il 10,9% ha assistito a scene di violenza filmate con un cellulare, segno che questi episodi vengono non solo visti, ma spesso condivisi e amplificati digitalmente, contribuendo a una sorta di “normalizzazione” della violenza.  

Secondo un'indagine condotta da Differenza Donna, il 39% dei giovani, tra i 14 e i 21 anni, ha dichiarato di aver subito violenza, con picchi tra le persone non binarie (55%) e le ragazze (43%).  

Il 30% dei giovani crede che la gelosia sia una dimostrazione d'amore, percentuale che sale al 45% tra i 14-15enni.  


Una responsabilità collettiva?

Personalmente non ritengo giusto dovermi prendere in carico questo tipo di problema, ma questi dati ci obbligano a riflettere su cosa stia accadendo nella nostra società. 

La violenza non è un problema isolato, ma un sintomo di disfunzioni più profonde: educative, culturali, sociali. 

È tempo di agire con decisione, sia promuovendo l'educazione al rispetto, sia sostenendo le vittime, sia  lavorando per una cultura che rifiuti ogni forma di violenza.

E, ultimo ma non ultimo, punendo in modo esemplare il trasgressore.